Henrietta Lacks: etica e scienza

Scienza ed etica sono due argomenti oggetto di interesse della ricerca scientifica. L’avanzamento della scienza ed il progresso tecnologico apportano enormi vantaggi alla vita di tutti noi, ma il loro sviluppo deve sempre tenere conto dell’aspetto etico, ossia di quei principi che sono fondamento della società e che salvaguardano ciascun individuo dallo sfruttamento e dalla prevaricazione e ne garantiscono la libertà in tutte le sue declinazioni.

Il dibattito sugli aspetti etici della scienza è da sempre molto vivo. Da ultimo, sono molteplici gli incontri e le conversazioni sul ruolo dell’intelligenza artificiale e sugli aspetti etici connessi alla diffusione di questi strumenti.

Ma prima ancora dell’avvento dei computer super intelligenti e dei robot, che mirano ad assumere sembianze umane fino a volerne riprodurre sentimenti e percezioni, la scienza deve fare i conti con la protezione di tutti coloro che volontariamente o involontariamente contribuiscono o hanno contributo ad ogni avanzamento scientifico.

Questo articolo è dedicato è una delle scintille più brillanti del mondo scientifico: Henrietta Lacks. Il contributo inconsapevole ed involontario alla scienza che nel 1951 venne fatto da questa donna continua ad interessare il mondo scientifico ancora oggi. Esso costituisce un faro per tutti coloro che si occupano di scienza e ci ricorda che la ricerca non può mai prescindere dal tenere conto delle donne e degli uomini che hanno contribuito al suo sviluppo, siano essi scienziati, assistenti di laboratorio, medici, e non da ultimo, pazienti.


La magnificenza delle cellule HeLa

Da sempre ogni studente che si avventuri nello studio delle cellule ha dovuto prima o poi conoscere le cellule HeLa. Queste cellule dalla natura straordinaria rappresentano infatti uno dei capisaldi dell’intera evoluzione scientifica in ambito medico.

Dotate di una natura forte in grado di prendere il sopravvento se accidentalmente una di loro finisce in una piastra di Petri ed addirittura portate nello spazio, le cellule HeLa costituiscono il mezzo con cui migliaia di articoli scientifici hanno provato le loro ipotesi di ricerca. Sono infatti le cellule HeLa quelle cellule su cui sono stati rilevati i segreti dell’invecchiamento; è ad esse che si devono i grandissimi sviluppi in ambito di trattamenti oncologici; di recente, è grazie a queste cellule che si sono verificate, prima della sperimentazione sull’uomo, la validità e l’efficacia dei vaccini contro il COVID-19.

Queste cellule umane immortalizzate sono coltivate nei laboratori di tutto il mondo. Sono in grado di sopravvivere anche in condizioni non tollerate da altre cellule e per un tempo più lungo e finanche, in assenza di terreno di coltura per un certo periodo. Le loro caratteristiche le hanno rese protagoniste della ricerca scientifica tanto che sono state avanzate delle ipotesi sulla loro vera natura, ossia le HeLa sono una linea cellulare o una nuova specie?

Ma da dove arrivano queste cellule? Sebbene uniche nel loro genere, esse sono il dono inconsapevole di una donna: Henrietta Lacks.

Henrietta Lacks: Un viaggio lungo oltre 70 anni

L’ultimo capitolo della storia delle cellule HeLa è stato scritto di recente: precisamente il primo agosto 2023. La lunga battaglia condotta dai discendenti di Henrietta Lacks per ottenere il riconoscimento dei propri diritti sulle cellule HeLa e quindi sul loro uso in ambito scientifico ha ottenuto finalmente il suo giusto esito (vedi articolo New York Times). Ma quando è iniziata la storia delle cellule HeLa?

Henrietta Lacks (1920-1951) – Source Foto: Wikipedia

Il contributo di Henrietta alla scienza ha inizio nel 1951 quando questa giovane donna di colore (30 anni), coltivatrice di tabacco e madre di cinque figli, si reca in visita presso lo studio del Dr. Howard Jones al Johns Hopkins Hospital lamentando sanguinamenti vaginali. La diagnosi è terribile: si tratta di cancro alla cervice dell’utero il cui unico trattamento possibile è la radioterapia. Tuttavia la malattia ha un rapido decorso: troppo aggressiva e non rispondente al trattamento, dopo solo 8 mesi dalla diagnosi, ha il sopravvento: il 4 ottobre 1951 Henrietta muore.

Sembrerebbe fin qui una delle tante e tristi storie delle malattie oncologiche. Ma al contempo, come tutte le storie dei malati oncologici, essa ha anche la sua parte di straordinarietà e, in questa storia, tale straordinarietà sopravvive alla stessa Henrietta.

La vita indipendente della cellula HeLa

Le cellule tumorali prelevate dalla cervice di Henrietta durante una biopsia e coltivate senza il suo permesso presso il laboratorio del Dr. George Gey mostrano sin da subito di possedere una natura diversa da tutte le altre cellule tumorali osservate fino a quel momento. Sembra infatti che esse abbiano assunto vita propria ed anzi, a differenza di quanto succede ad altre cellule, non muoiono, ma si raddoppiano ogni 20-24 ore.

La scienza assiste per la prima volta a cellule tumorali umane che si riproducono. La notizia di queste cellule straordinarie – in seguito chiamate HeLa proprio dalle prime due lettere di nome e cognome di Henrietta Lacks – fa il giro del mondo. Il mondo scientifico si scatena. Le implicazioni dovute all'”immortalità” di tali cellule sono notevoli. Per la prima volta è possibile disporre di cellule umane che non muoiono. Ciò significa che è possibile studiare gli effetti di tossine, farmaci, ormoni, virus sulla crescita di cellule tumorali senza la sperimentazione sugli esseri umani.

Tuttavia mentre il mondo intero beneficia della natura robusta di queste cellule, la famiglia di Henrietta vive il dolore della perdita di una madre di cinque figli. La frenesia scientifica intorno a tali cellule rimane sconosciuta ai familiari di Henrietta per oltre vent’anni. Con gli occhi del mondo del 1950, Henrietta era una donna di colore, con pochi mezzi, alla quale, per dirla con il linguaggio comune, “per destino era andata male”. E ci si è dimenticati che quelle cellule provenivano da una donna.

“Oh cavolo, è una persona reale. . . . Ho iniziato a immaginarla seduta nel suo bagno a dipingere quelle unghie dei piedi, e per la prima volta mi è venuto in mente che quelle cellule con cui abbiamo lavorato per tutto questo tempo e che abbiamo inviato in tutto il mondo, provenissero da una donna viva. Non ci avevo mai pensato in quel modo.”

Dichiarazione di un assistente di laboratorio che lavorò sulle cellule HeLa quando Henrietta era ancora in vita e partecipò all’autopsia di Henrietta.

Le norme dell’epoca inoltre non sono stringenti come quelle attuali. Problematiche quali appunto il consenso del paziente all’utilizzo di proprio materiale biologico a fini scientifici non sono ancora prassi della ricerca scientifica, come ammette lo Johns Hopkins Hospital sulla pagina dedicata all‘eredità di Henrietta.

La svolta della storia

Tuttavia, le cellule HeLa per quanto straordinarie non sono però immuni da contaminazioni. Passando da “mano in mano”, esse possono perdere tratti della loro natura originaria. Si arriva così al 1973, quando a seguito delle prime contaminazioni delle cellule sorge la necessità per gli scienziati di rintracciare i parenti di Henrietta al fine di studiarne i geni. Così la famiglia scopre per la prima volta il grande contributo di Henrietta alla scienza. Prende avvio da qui una lunga battaglia legale per il riconoscimento dei diritti di Henrietta e dunque dei suoi discendenti. I parenti accusano gli utilizzatori delle cellule di trarre profitto dall’uso delle stesse senza averne diritto. In effetti Henrietta non aveva mai prestato il consenso e non era mai stata informata sull’uso che si intendeva fare delle sue cellule.

La storia di Henrietta accende dunque il dibattito sugli aspetti etici della ricerca e sul ruolo rivestito dai medici per offrire al paziente informazioni dettagliate sulla possibilità di utilizzo delle informazioni ai fini scientifici, come descritto dall’eccellente libro di Rebecca Skloot (vedi recensione sul New York Times).

Oltre che impattare pesantemente sul lato umano, la storia di Henrietta scuote il mondo della scienza. La mancanza di consenso nell’utilizzo delle cellule è un elemento chiave. Quando la storia di Henrietta si svolge, ella è giovane, è di colore in un’America che ancora distingue tra ospedali per persone bianche e persone di colore, è ammalata, e non vi è ancora nessuna Dichiarazione di Helsinki su norme e principi che devono ispirare la ricerca.

Scienza ed etica: la necessità del consenso

Dal momento del prelievo delle cellule di Henrietta a quello in cui la famiglia finalmente ha concesso il consenso informato ai fini scientifici sono passati tanti anni (precisamente 72 contando fino all’ultima battaglia). Nel frattempo la scienza ha modificato il proprio approccio. La Dichiarazione di Helsinki ed i principi di buona pratica clinica costituiscono ormai la base di ogni studio scientifico ed il consenso del paziente è fondamentale per poterne usare anche un solo capello.

Il consenso informato è infatti lo strumento attraverso cui il paziente può comprendere come fare la sua parte nella ricerca scientifica conoscendo in ogni dettaglio come il suo materiale biologico e le sue informazioni mediche sono trattate e diffuse. Fa parte della relazione di fiducia medico-paziente e costituisce la garanzia che i diritti del paziente sono rispettati e che la scienza sta lavorando in modo corretto.

Come ricercatore so che questa strada di eticità della scienza è più difficile da percorrere. Ci vogliono tempo e dedizione: il paziente deve comprendere cosa avviene. Il consenso informato non è un modulo da firmare: è un processo di conoscenza reciproca tra paziente e ricerca.

Ripensando alla storia di Henrietta, sento che ogni volta in cui viene sollevata la domanda sulla presenza del consenso informato del paziente, la ricerca sta avanzando in progresso umano prima che scientifico.

La necessità del consenso informato richiama ciascun ricercatore al principio cardine per cui la ricerca scientifica è condotta: la cura del paziente in ogni forma ed in ogni momento. Se da un lato la ricerca medica è sempre più focalizzata sul trovare soluzioni che pongano al centro il paziente e non il trattamento (“You treat a disease, you win, you lose. You treat a person, I guarantee you, you’ll win, no matter what the outcome.”), dall’altro essa deve al paziente e alla formazione che esso fornisce tramite le conversazioni sul consenso informato, la chiave per aiutare quello specifico paziente e tutti coloro che soffrono lo stesso disturbo.

Etica, etica, etica: l’imperativo di ogni ricerca scientifica

Fare scienza richiede etica sin dal primo contatto con il paziente e fino all’ultima correzione di bozza di un articolo scientifico. Quando raccogliamo i campioni biologici, estraiamo i dati da una cartella clinica, elaboriamo le informazioni e da ultimo pubblichiamo i risultati dei nostri lavori, i pazienti ci accompagnano in ogni momento ed i principi etici che ne tutelano la loro dignità sono parte integrante di tale percorso.

Secondo Bland l’etica si deve rispettare anche quando si elaborano i dati statistici. Fare elaborazioni statistiche fatte male non è etico: si consumano i dati dei pazienti, i quali hanno prestato il consenso all’uso dei loro dati e forse non sono più presenti per vedere ciò che la scienza ne ha fatto, si consumano risorse economiche, si perde tempo.

L’etica rappresenta una colonna portante della ricerca scientifica. Se il rigore e la scientificità sono il substrato necessario affinché un lavoro scientifico abbia senso, l’etica è il “collante” necessario perché la ricerca sia sempre orientata al principio fondamentale del “don’t harm“. L’etica permea la ricerca scientifica in ogni momento del suo sviluppo ed assicura in ogni istante che chiunque abbia contribuito a questo sviluppo riceva il giusto riconoscimento e la giusta tutela.

Conclusione

Quando dunque di fronte alla prossima richiesta di un Comitato Etico, di un IRB o di un journal scientifico ci troveremo davanti alla fatidica domanda “C’è il consenso informato dei pazienti?”, invece di apparire distaccati o forse “stizziti” da questa richiesta che sembra l’ennesima puntigliosa domanda, pensiamo alla storia di Henrietta e a ciò che disse chi assistette all’autopsia di Henrietta: “Per la prima volta mi è venuto in mente che quelle cellule con cui abbiamo lavorato per tutto questo tempo e che abbiamo inviato in tutto il mondo, provenissero da una donna viva”.


Un consiglio di lettura

The immortal life of Henrietta Lacks di Rebecca Skloot, edito in Italia da Adelphi con il titolo “La vita immortale di Henrietta Lacks” (https://www.adelphi.it/libro/9788845926143)


Articoli Correlati

Previous Article

Interrupted Time Series: un approccio per quasi-experimental studies

Next Article

Controllo statistico della qualità e breve intro su Six Sigma

Related Posts