Covid-19: i molti fronti della sfida

Da oltre sessanta giorni il nostro Paese si trova a fronteggiare una grave crisi sanitaria. La rapida insorgenza e l’enorme diffusione del Covid-19, estesa a tutto il Pianeta, pongono l’intero sistema Italia di fronte a problematiche come da scenari di guerra. Il numero di persone infette e purtroppo di morti registrato ogni giorno, la necessità di isolare i cittadini per evitare la diffusione del contagio, la scarsità delle risorse economiche per fronteggiare idoneamente un fenomeno così eccezionale e acuto, sono divenuti argomenti del quotidiano parlare di tutti, anche del cittadino della strada, solitamente non attento alle notizie correnti.

Il Covid-19 e la guerra: due scenari abbastanza similari.

Il Covid-19 è il nuovo nemico dell’intera umanità. Dobbiamo confessarlo: era da tempo che studiosi e qualche politico temevano che la natura, deturpata dal nostro modo di vivere totalmente sprezzante dei suoi tempi e dei suoi spazi, prima o poi avrebbe – a modo suo – rivendicato le sue leggi. Questa volta ad una delle creature viventi più piccole e più pericolose è toccato farci sentire impotenti, deboli ed impreparati. Un virus che si trasmette attraverso le vie aeree e con la sola condivisione dell’aria.  

A ben guardare, la più avanzata delle guerre si deve combattere su un terreno di cui conosciamo solo una piccola parte, quello microscopico. Il virus non ha riguardi particolari, uccide i più deboli (le persone ammalate o le più anziane), non escluse altre categorie di persone, non ha confini di spazio; ma, a differenza di una guerra, questa volta tuttavia l’umanità è solidale nel far fronte comune contro questo nemico sfuggente e subdolo.

Le domande a cui dare risposta.

Le domande ricorrenti di questi tempi sono: Quando finirà la diffusione del virus? Quando l’isolamento dei cittadini? Come affrontare il “dopo Covid-19”? Quali le conseguenze di questo periodo di emergenza? Quale l’impatto del blocco della produzione, del commercio, dei servizi? Non c’è chi non veda la difficoltà di dare una risposta abbastanza rassicurante a questi interrogativi.

Vengono alla mente i due principi basilari di ogni buona ricerca scientifica: inquadrare correttamente e rigorosamente il problema e predisporre schemi razionali per la previsione dello scenario futuro. Le previsioni, i calcoli sull’argomento, manifestano una intrinseca debolezza: la loro settorialitá di punto di vista. E ciò conduce all’incertezza che attualmente grava su importanti aspetti della vita economica e sociale del nostro Paese.

Ci si domanda: esiste un qualche fattore che può aver diminuito la nostra capacità di risposta a problemi complessi? Forse nel passato avremmo dovuto agire diversamente, essere preparati, culturalmente ed operativamente, anche ad eventi di questo tipo?

La storia ci insegna, anche per il Covid-19

Ci si chiede dunque: cosa manca per poter inquadrare il problema nella sua globalità e far prevedere possibili scenari futuri? I fattori in gioco sono complessi e le interconnessioni tra i vari aspetti di gestione di ogni singolo Stato e delle relazioni tra di essi sono molteplici. Ambito sanitario, economico, sociale e finanziario sono correlati tra loro a formare un intreccio, un nodo gordiano e la leggenda in proposito su Alessandro Magno non vale.

Da sempre appassionata di storia, ho appreso che per vincere le guerre non è unicamente necessario disporre dell’esercito migliore. La vittoria, per così dire, infatti appartiene a colui che può disporre dei migliori sostegni economici e del migliore mezzo di approvvigionamento delle truppe. Ripenso ad esempio alla campagna di Napoleone in Russia: l’asprezza del clima trovò impreparato uno dei più grandi strateghi della storia, nonostante i suoi leggendari veterani.

Se consideriamo ancora la storia come maestra di vita e poniamo le sue lezioni al cospetto dei tempi presenti, ci rendiamo conto che il virus di oggi non si combatte solo avendo l’esercito migliore. Si combatte piuttosto unendo più ambiti della nostra conoscenza. L’arma vincente non è il risultato di una sola conoscenza, ad esempio la medicina, ma scaturisce dall’unione di discipline diverse. Soltanto così sarà possibile sconfiggere il virus e tutte le sue nefaste conseguenze. Soluzioni mediche valutate ignorando il contesto economico-finanziario, misure di finanza dimenticando i problemi sociali, misure sociali senza tener in conto la capacità produttiva di un Paese sono possibili, anche politicamente apprezzabili, ma certamente non saranno sufficienti a condurre un paese fuori dal guado della pandemia. 

Ampliamo l’orizzonte: unire i saperi

Ed allora, cosa significa precisamente unire discipline diverse? Unire le conoscenze sembra risuonare come uno di quegli spot aziendali in cui si invoca il lavoro di gruppo. Non è quello a cui intendo riferirmi. Benché io creda molto nel lavoro del team, l’unione dei saperi vorrei che avesse qui un altro significato, le cui tracce ho trovato anche in un documento del 1955. 

In effetti, scorrendo i programmi ministeriali della Scuola italiana di quegli anni, ho potuto cogliere ciò a cui mi sono riferita sopra. Vi si legge: l’obiettivo primario di ogni forma di trasmissione del sapere è lo sviluppo della personalità degli alunni attraverso la formazione integrale. Il sapere non è il risultato di una specializzazione in un ambito, ma è l’unione di diverse forme di sapere: dalla letteratura alla matematica, dalla storia alle lingue straniere. E ciò – spiegano sempre i programmi ministeriali – deve essere attuato in quanto: “il grado di civiltà di una Nazione si misura soprattutto dalla cultura di base del suo popolo”. 

Cultura di base: cosa significa

A ben guardare, la tecnologia ci ha fornito molti ed utili strumenti per aumentare le nostre conoscenze, ma quelle purtroppo non fanno cultura. Anzi, smartphone e tablet sono divenuti strumenti non per crescere culturalmente, ma per evitare di conoscere; Internet ha sostituito l’enciclopedia, le faccine hanno sostituito la capacità di esprimere a parole il proprio stato d’animo ed i riassunti hanno sostituito i manuali. La facilità di accesso a più informazioni tramite un click non ha aumentato il sapere, ha ridotto quello utile per poter sviluppare la propria personalità, la propria crescita psichico-formativa. 

Tutto ciò sembra un paradosso, ma l’evidenza dice che gli utenti di questa tecnologia sfuggono a quel che di positivo c’è in essa: la possibilità di accedere con immediatezza a qualunque testo formativo, a qualunque tipo di lezione o intrattenimento che voglia coinvolgere l’intelligenza dello stesso utente.

Ritorno alla conoscenza

Si sente il bisogno quindi di un ritorno alla vera conoscenza, di un ritorno anche alle origini della nostra cultura e del nostro modo italiano di fare cultura: l’Italia deve la sua magnificenza ai tanti che l’hanno riempita di arte e di sapere e che non hanno posto la barriera del “non è il mio campo”. Leonardo da Vinci, Dante, Fibonacci, Lagrange, Fermi, solo per citarne alcuni, sono italiani e nessuno di loro è stato monotematico. Anzi, il loro sapere è derivato proprio dalla multi-disciplinarietà. Quanta fisica, matematica e logica ci sono nella Divina Commedia? Quanto sentimento trapela dai teoremi di Lagrange? Quanto l’uomo Fermi ha contribuito alla grandezza delle sue scoperte?

Forse la cultura che abbiamo sviluppato negli ultimi 50 anni ci ha permesso di essere più specifici sui vari argomenti, ma sicuramente ci ha resi meno attenti al problema generale, meno solidali con gli altri ambiti. La nostra formazione integrale è venuta a mancare da ormai molto tempo. Ed oggi, in cui il coronavirus ci costringe a confrontarci in modo globale e su più fronti, ci sentiamo molto deboli e quasi impotenti. 

Avvertiamo tuttavia che la cultura ed il sapere – quelli veri, quelli profondi, quelli che formano la nostra personalità – sarebbero in grado di farci costruire un mondo migliore. Questa forma “alta” di sapere non è appannaggio di pochi eletti: la nostra Costituzione la pone quale diritto garantito ad ogni persona. Non è un mero esercizio di date ed eventi a memoria, non è un sapere con il paraocchi. L’unione di diversi saperi conduce alla cultura: ecco, a ciò devono portare le singole discipline. Solo così costruiremo cittadini e vertici in grado di esplicitare la propria personalità e di metterla a disposizione degli altri. È la saggezza che ha ispirato da l’uomo fin dai tempi di Altamira.

Conoscenza e Covid-19

In definitiva, soltanto cittadini con fortissime conoscenze di base ed una fortissima preparazione settoriale, possono produrre idee e soluzioni che, uscendo dai classici “copia ed incolla” o “abbiamo sempre fatto così”, saranno efficienti a superare le sfide inattese e senza precedenti che continueranno a caratterizzare la nostra esistenza: oggi è il Covid-19, domani, magari, un meteorite. Sarà possibile creare quel terreno fertile e collaborare allo sviluppo non solo economico, ma anche e soprattutto culturale, sociale e morale del Paese. 

È stato emozionante vedere sventolare il Tricolore dai balconi di tutta Italia. Ancora più emozionante è stato sentire la vicinanza dei cittadini ai nostri medici, infermieri, addetti dei supermercati e trasportatori, alla nostra Protezione Civile, ai nostri sacerdoti e ai volontari. Ma adesso, bisogna ampliare la base delle nostre capacità: ogni cittadino deve sentirsi forte del Paese in cui abita e parte del sistema, perché alla fine della storia Covid-19, quello che resterà sarà il senso di unione di questi giorni e l’essersi sentiti parte del Paese. È tutto ciò è realizzabile anche senza la paura del Covid-19 sulle spalle. La guerra non è mai utile, neanche quando essa costringe a ricordare l’importanza della pace. 

Come usciremo da Covid-19

Salvare la cultura che è stata creata e che ci fa sentire orgogliosi delle nostre bandiere è il dovere più grande che abbiamo. Unire le diverse discipline ed insegnare agli studenti di ogni età un modo nuovo di accostarsi alla conoscenza è la grande lezione di questi giorni. 

Non esistono l’ora di matematica e quella di storia o l’ora di italiano e quella di inglese. Il sapere non ha i confini né del tempo né dello spazio. Le discipline si interfacciano in un unico grande disegno in cui al centro c’è l’uomo, lo sviluppo della sua personalità con la sua voglia di tendere all’Assoluto.

Studiare matematica significa studiare filosofia, e studiare filosofia significa studiare la letteratura e la storia, e di qui la geografia, e poi la geometria, e poi l’arte e poi la musica ed il cinema, e poi la psicologia, e poi la medicina, l’epidemiologia, la statistica, gli andamenti economici della famiglia o dello Stato e … non esiste un confine. 

Conclusione

In tale infinito non ci sono materie difficili o poco comprensibili. Tutti i ragazzi hanno le capacità per apprendere, ma è necessario che essi siano indotti a farlo. La nostra scuola e la nostra università devono essere concentrate a trasmettere amore per il sapere. Per tale passione non serve né essere fisicamente in classe né non esserlo, basta unicamente che si accenda la miccia della curiosità e dell’amore per la cultura. Ciò si apprende nella misura in cui il “fru-fru fra le fratte” di Pascoli, l’ira di Achille, il teorema di Pitagora, il “We Can” di Obama o “Il lupo e l’agnello” di Fedro si trovino nelle nostre città, in TV, su smartphone e tablet, si respirino nelle parole degli adulti e si vivano come sublime sapere da apprendere. 

Risuonano così le parole di Rousseau nell’Emilio: “Il punto non è di insegnare [a un bambino] le scienze, ma di dargli il gusto per amarle.” 

Concludo citando un altro Sapere che pure fa parte della nostra storia italiana, il Vangelo di Luca, il quale ci ricorda che nonostante tutto, non ci può essere saggezza senza giustizia. Anche questo fa parte della cultura vera.

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