Bias nella ricerca scientifica: come gestire le distorsioni?

Bias

I bias, forma inglese del termine “distorsione”, sono uno dei grandi mali di cui soffrono gli studi scientifici. Studi condotti con la migliore metodologia e con la più performante delle armi statistiche cedono all’analisi dei bias. A volte sono solo imperfezioni, altre volte sono macigni sulla validità dello studio.

Giovanni Pascoli diceva che l’imperfezione è necessaria per essere perfetti. Se correttamente gestiti i bias possono essere ridotti a piccole imperfezioni dei nostri studi che consentono di puntare alla perfezione. Scopriamo di più.

Cosa sono i bias?

Prima di partire alla scoperta dei bias, procediamo con la loro definizione. Conosciuti nell’ambito di ricerca medica e di uso comune nel parlare degli addetti ai lavori, i bias sono eventi che incidono sui risultati numerici tanto da rendere inefficaci le conclusioni dello studio. Sono distorsioni del fenomeno osservato che, come tutte le viste distorte, incidono negativamente sulla spiegazione corretta del fenomeno.

Chiunque si avvicina al mondo dei numeri usa dire una frase: la matematica è la scienza esatta, o, nella forma più in voga, la matematica non è un opinione. Ciò che molti non sanno è che la matematica e dunque la statistica diventano precise solo quando i dati forniti sono corretti, ossia quando non sono inficiati da alcun tipo di errore. Per cui, scrivere numeri non è sinonimo di esatto: la correttezza dei numeri va provata, sostenuta, messa in discussione e confermata.

Esattamente come un’immagine distorta, i bias se presenti, ci forniscono una descrizione distorta del fenomeno osservato

Esempio di bias

Nello svolgere ogni ricerca scientifica, l’errore è dietro l’angolo. Lo stesso Keplero temeva così tanto di commettere errori che ripeteva i suoi calcoli più volte prima di affermare che fossero esatti. E ciò lo faceva non solo per una precisione e meticolosità straordinari, ma perché da eccellente astronomo, matematico e cosmologo (solo per citare i titoli più noti), sapeva che nella scienza alcuni errori possono essere così gravi da non poter essere rimediabili nel corso dello studio.

Per darti un’idea di errore non rimediabile, ti faccio un esempio nell’ambito della ricerca medica. Immagina di condurre uno studio randomizzato nel quale non sono stati definiti in modo univoco i criteri di inclusione ed esclusione dei partecipanti. Al momento dell’analisi dati, un tale errore può produrre come primo risultato la mancanza di significatività statistica: questo è il caso migliore! Nel caso peggiore ci può essere una sovrastima della significatività. Ciò significa che le conclusioni di siffatto studio sono errate e le eventuali decisioni prese su tali conclusioni sono completamente distorte.

Tutto ciò in ambito medico si traduce nel mettere i pazienti a rischio e violare il principio del “Don’t harm”, i principi della Dichiarazione di Helsinki e tutte le norme di Buona Pratica Clinica. Un’apparente piccola confusione iniziale fonte di un enorme danno scientifico.

Tipologie di bias

Il bias sopra riportato è conosciuto come bias di definizione ed è dunque relativo all’erronea classificazione dei soggetti. Per avere un’idea di quanti tipi di bias vi possano essere in uno studio, ho creato una piccola e non esaustiva tabella con i più importanti.

1Bias nei concettiPoca chiarezza circa i concetti usati nello studio
2Bias di definizioneNon univocità dei criteri di inclusione ed esclusione
3Bias in designGruppo sperimentale e gruppo di controllo non sono equivalenti alla baseline
4Bias per violazione del protocolloErrata randomizzazione o non corretta implementazione dell’intervento programmato (specialmente comune negli RCT)
5Bias di selezioneI soggetti selezionati nel campione non sono rappresentativi della popolazione
6Bias per confondentiLa presenza di fattori confondenti non identificati o correttamente considerati “sporca” la relazione di interesse
7Effetto HawthorneI partecipanti allo studio sanno di essere osservati e quindi si comportano in modo differente da come farebbero normalmente
8Bias nell’analisi datiModifica dell’analisi per supportare una determinata ipotesi e differente interpretazione del p-value
9Bias per mancanza di potenzaCampioni piccoli possono non consentire di trovare la significatività statistica producendo dunque falsi-negativi
10Publication biasMolto spesso si pubblica solo ciò che ha significatività, perdendo quindi informazioni importanti (vedi funnel plot)
I bias più noti

Come superare il problema dei bias?

Scorrendo la precedente tabella, ti rendi immediatamente conto che la maggior parte di questo tipo di distorsioni può essere evitata solo pianificando nel modo corretto lo studio. Dunque il primo metodo per non avere distorsioni è pianificare correttamente lo studio. Dotarsi di un ottimo protocollo è il primo grande passo per ridurre i bias.

Tuttavia questo solo accorgimento non è di per se sufficiente a garantire l’assenza di bias: aver definito dove andiamo, perchè e come, non è sufficiente per dire che sicuramente arriviamo a destinazione.

Il secondo metodo per ridurre il rischio distorsioni è quello di controllare continuamente la rotta dello studio. Fare check continui al protocollo di ricerca consente di capire se “tra il dire ed il fare” si sta effettivamente modificando quanto pianificato.

Cosa fare se comunque sono presenti?

I bias sono evitabili, ma non sempre eliminabili. Vi sono dei casi dove le distorsioni sono un male necessario. Nella ricerca vorremmo sempre studi perfetti, RCT a prova di journal e rispettosi di tutte le possibili linee guida. Tuttavia ciò non è sempre possibile.

Si pensi ad esempio all’effetto Hawthorne. In ogni RCT si punta a far sì che i partecipanti non conoscano a quale gruppo sono assegnati per non modificare il loro comportamento. Tuttavia, il semplice fatto che i partecipanti sappiano di far parte di uno studio fa sì che essi modifichino il loro comportamento. È una distorsione ineliminabile e con potenziali effetti dannosi sullo studio (pensa alla sovrastima dell’effetto placebo negli studi farmacologici!).

Nel caso vi siano bias e non si possano eliminare, l’unica strada possibile è dichiararli, esattamente come avviene alla dogana. Porsi alla fine dello studio la fatidica domanda “Niente da dichiarare?” consente di far luce su tutto ciò che potrebbe aver inficiato i risultati. Dire che i risultati dello studio possono essere ridotti nella loro portata perché vi sono stati bias, ovviamente scoperti in corso di studio, è una parte essenziale di ogni lavoro di ricerca. Spiegare quali bias e perchè si sono verificati fa comprendere a chi legge che non hai approssimato il lavoro, ma hai tenuto conto di tutto ciò che è andato storto.

Dove riportare i bias?

Nell’ambito di un articolo scientifico, la presenza di bias è riportata nelle limitazioni. Le limitazioni dello studio sono parte integrante del lavoro scientifico e servono a definire punti di debolezza del lavoro e possibili miglioramenti dello stesso. Specialmente nel campo medico, la cui metodologia di ricerca è basata sulla medicina basata sull’evidenza, scrivere le limitazioni è elemento essenziale per migliorare la letteratura.

Nota sulle limitazioni

Come ogni attività, sii prudente ed attento alle limitazioni! La limitazione più nota è quella relativa alla dimensione del campione. Questa dicitura dovrebbe servire per affermare che la potenza statistica è ridotta. Tuttavia tale affermazione alla fine degli studi diventa fonte, non solo di bias, ma anche di sorrisi.

Se si esegue un RCT e si è sviluppato a priori uno studio statistico con tanto di potenza del campione e di calcolo, dire al termine dello studio che il campione è ridotto corrisponde al famoso detto “tirarsi la zappa sui piedi”.

In questo caso, a chi legge sovvengono infatti tre pensieri. Il primo è quello relativo al calcolo a priori del campione: “Ma come hai calcolato il campione?” o ancora meglio: “Che ipotesi hai fatto per non avere adesso potenza?”.

Il secondo pensiero: “Cosa ne facciamo di un RCT senza potenza?”.

Il terzo pensiero: “Perché consumare tempo, denaro, pazienti e … pazienza per concludere che l’evidenza non è poi così evidente?”.

Conclusione

I bias sono il lato oscuro delle ricerche scientifiche. Sono gli eventi che non sono andati come programmato, sono tutto ciò che non vorremmo nel nostro lavoro, solo l’ostacolo tra ciò che facciamo e la perfezione di uno studio. Non esistono studi perfetti: esistono studi ben fatti che hanno fatto proprie le limitazioni e hanno cercato di superarle.

Per dirla all’Aristotele, ricorda che: “Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono”. Buon lavoro!

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